martedì 19 febbraio 2013

Il MoMA di New York


moma new york
Cinquantamila metri quadrati per un totale di 150 mila opere esposte, quasi niente da conservare in deposito, tutto da mostrare al pubblico in una struttura di nuova concezione che, inglobando le precedenti del Museo, occupa praticamente una buona fetta della 54esima strada di New York. Il progetto è del Giapponese Yoshio Taniguchi ed è costato 450 milioni di dollari, perché si sa gli americani se fanno qualcosa la devono fare in grande, e non casualmente il Museum of Modern Art è uno dei più grandi musei d’arte contemporanea al mondo e soprattutto fu il primo ad essere ideato con l’intento di esporre l’arte moderna, divenendo un luogo dove organizzare mostre per artisti consacrati e allo stesso tempo promuovere talenti emergenti.

E pensare che la prima mostra organizzata nel 1929 comprendeva 8 stampe e un disegno, che l’istituzione non era ancora nata ufficialmente e gli spazi a disposizione erano solo sei stanze sulla 53esima strada. A curare la mostra il direttore del futuro museo Alfred H. Barr Jr, a promuoverla le tre donne che ne incoraggiarono la nascita, donne amanti dell’arte, collezioniste all’avanguardia, le cui famiglie per decenni hanno finanziato acquisizioni di opere e sostanzialmente la vita stessa del museo: Mary Queen Sallivan,  Abby Aldrich Rockfeller e Lillie P.Bliss. Quest’ultima era la vera collezionista delle tre: tutti suoi i primi pezzi della raccolta del museo, i vari Seurat, Cézanne, Van Gogh, Picasso.

Un museo sperimentale e all’avanguardia, che accolse artisti eccentrici scartati altrove e soprattutto le opere di geni prima che fossero riconosciuti come tali. Non solo pittura e scultura, ma ancora tutte le arti legate al mondo industriale, commerciale o popolare, fotografia, design e cinema. L’istituzione fu la prima ad avere un dipartimento di fotografia (oggi 25 mila pezzi), di stampa e libri illustrati contemporanei (50.000 unità), una raccolta di film che principiata nel 1935 con soli 19 titoli ne conta oggi 22 mila.

Fiore all’occhiello del museo è il dipartimento di Architettura e Design, che nel 1932, ancora per la prima volta al mondo, Barr volle esponesse pezzi di design tratti dalla vita quotidiana, non solo quindi progetti e modelli di grandi architetti, ma il “Coltello e la forchetta da pesce” disegnati nel 1900 da Charles Rennie Mackintosh, il carrello da té di Alvar Aalto (anni Trenta), lo spremiagrumi “Piantana Arco” di Achille Castioglione (Anni Cinquanta). Ma il museo non intende fermarsi e vuole aprirsi a sempre nuove forme d’espressione, di arte, di cultura. Non scioccherà quindi sapere che a marzo i videogiochi invaderanno il Moma, con una nuova sezione permanente.

La studiosa Paola Antonelli insieme ad un gruppo di collaboratori ha scelto i primi quattordici titoli che troveranno spazio in alcune sale delle Philips Johnson Galleries. Una selezione serratissima, operata su centinaia di titoli, che ha tenuto conto chiaramente del criterio estetico, e ancora del comportamento stimolato nel giocatore, della struttura del sistema spazio-tempo, dell’architettura. Solo di recente annunciati poi i prossimi acquisti in programma, tra cui non mancheranno gli intramontabili Super Mario e Snake.